5. Recensione del film ''Cella 211''
{extravote 1}Soffocante, accattivante, crudo e violento, questi sono gli ingredienti che danno vita al film spagnolo Cella 211 (Celda 211), presentato nel 2009 al Festival del cinema di Venezia, sezione Giornata degli Autori.
Cella, quindi prigione e la 211 è proprio quella in cui il protagonista, Juan Oliver, viene intrappolato e costretto a vivere... come un prigioniero. Fin qui niente di strano se non fosse che Juan in verità non ha commesso nessun reato, si trova lì in carcere per visitare il suo futuro luogo di lavoro, essendo un secondino.
Durante il sopralluogo avviene però una rivolta, una di quelle tipiche dei detenuti stanchi di starsene rinchiusi lì, il protagonista, ferito alla testa, viene abbandonato nella famosa cella e i suoi colleghi scappano per mettersi in salvo.
''Non fidarti mai di nessuno e non scordarti mai da che parte stai'' questo era stato l'avvertimento, Juan Oliver allora, non si perde d'animo e in balia degli eventi, per riuscire ad uscire vivo da quella situazione si schiera con i detenuti, in particolare diventa una specie di braccio destro del capetto della prigione, il sadico Malamadre.
Lo sguardo sempre fisso, l'intelligenza e la prestanza fisica di Juan, dimostrano al boss che di lui ci si può fidare, sono invece i compagni di cella e prigione che nutrono dei dubbi sull'identità di quel ragazzo, che sa scrivere bene, sa parlare ed è molto furbo.
Il ruolo di Juan in quel carcere diventa quindi, quello di intermediario indiretto, comunica con i colleghi al di fuori, ascolta le richieste dei detenuti e si pone fra loro, cercando una via d'uscita e nello stesso tempo tenendo a bada i suoi nuovi ''amici''.
La pellicola si pone al servizio di ogni schieramento e ogni punto di vista: quello di coloro che stanno al di là della barricata, i colleghi del carcere di Juan e i vari delegati del Ministero, bugiardi, impauriti e codardi, quello dei prigionieri violenti, crudeli, sospettosi e rivoluzionari ed infine quello dei parenti e della gente al di fuori del carcere, sempre in perenne ansia per la sorte dei propri cari, come Elena, la moglie di Juan.
Ciò che colpisce di più di questo film è proprio l'evoluzione della personalità del protagonista, un novellino del mestiere che dimostra fin da subito di essere migliore dei colleghi più esperti.
Il suo passaggio da uomo di giustizia ad assassino, uccidendo un collega responsabile della morte di Elena, picchiata ai cancelli della prigione, può essere visto come un ulteriore cambiamento ed infine vi è l'evoluzione data dal rapporto che si instaura fra lui e Malamadre, da diffidenti ad amici, anche dopo che il leader scopre la vera identità di Juan.
Cella 211 è quindi una pellicola che riflette sulla condizione dei detenuti nelle carceri, ma ciò che traspare maggiormente è il messaggio di disperazione e di abbandono del protagonista, passato al lato oscuro costretto dalla rabbia, dal trasporto emotivo e dall'ingiustizia.
Fa riflettere, è un pugno nello stomaco, in alcuni punti difficile da sopportare, violento sia dal punto di vista fisico che psicologico e ciò che rimane alla fine è un senso di desolazione e perdita, tutto ciò è ovviamente accentuato dalle ottime interpretazione dei due protagonisti, il giovane e coraggioso Alberto Ammann e il dark e pericoloso Luis Tosar.
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